Non l’ho davvero mai capita la strana usanza delle persone di applaudire quando l'aereo tocca terra. È quasi come se pensassero che la missione segreta del velivolo sia quella di rimanere in volo per l’eternità e che il pilota sia una specie di supereroe che li riporta al sicuro sul pianeta Terra, sabotando così la missione dell’aereo cattivo.
È con un applauso dei passeggeri del mio volo che inizia il mio soggiorno a Maiorca, alle 13 ora locale di un tiepido pomeriggio di maggio. Una vacanza prenotata di getto, quasi senza pensare, perché il viaggio dei miei sogni a Bali era sfumato qualche mese prima e perché, a causa di alcune malinconie della vita di tutti i giorni, avevo pensato che non avrei nemmeno voluto farla una vacanza.
E poi mi sono detta: "fanc**o, Vera!! Prenota! La vita è breve. Potresti morire domani! Almeno avrai visto un posto nuovo".
Ed eccomi qui, a Maiorca, in un resort all inclusive che ho trovato con un’offerta a prezzi stracciati. Non sono mai stata tipo da all inclusive, ho sempre evitato questo tipo di vacanze. Il dolce far niente, dopo un po’ mi manda al manicomio. E già dai primi 10 minuti dopo il mio arrivo in hotel, che si chiama senza nemmeno farlo apposta "Dolce Far niente", seduta in terrazza a bordo piscina, sorseggiando il mio caffellatte, mangiando una crêpe al caramello (non mettevo niente sotto i denti dalla sera prima) e leggendo il libro che avevo portato con me per farmi compagnia, sapevo che non avrei passato i prossimi giorni così e che avrei integrato un viaggio zaino in spalla a questa vacanza veramente distante da tutto ciò che sono.
E quindi, fedele a me stessa, inizio a cercare informazioni su come muovermi autonomamente sull’isola. La simpatica ragazza delle crêpes conferma le informazioni che avevo trovato sui bus da prendere per visitare i posti che mi interessano. Ma ascoltare e vedere con i propri occhi sono due cose diverse e così, una volta finita la crêpe e posato il libro in camera, eccomi già in giro a fare un primo sopralluogo dei dintorni.
E, senza che fosse minimamente nei piani, mi imbatto in Cala Egos, una cricca paradisiaca a pochi passi dal mio hotel. Non ho portato il costume con me per il sopralluogo, quindi niente bagno… ma la tentazione di immergere i piedi in acqua è fortissima. Sfilo le mie havaianas, sollevo i miei jeans, e mi avventuro.
L’acqua è fredda ma respiro forte. Prendo fiato. Ed è come respirare. Di nuovo. Dopo qualche mese in apnea.
Poi inizio a scalare i crostoni intorno all’acqua cristallina e, man mano che salgo su, per godere di una vista ad ogni passo sempre più incantevole, nella mia testa arriva la conferma che in qualche modo avevo già: per i prossimi giorni il mio hotel sarà solo un posto nel quale riposarmi un po’, mangiare un boccone e magari sorseggiare un cocktail a bordo piscina la sera mentre leggo e scrivo, il resto del tempo lo passerò a esplorare l’isola di Maiorca.
Niente sole stamattina a Maiorca, ma non sarà sicuramente questo a scoraggiarmi.
E così, una volta infilati i miei short di jeans, la mia maglietta gialla, il mio foulard bordeaux e aver messo qualcosa sotto i denti, eccomi già alla fermata del bus diretta alla mia prima destinazione: Santanyí, il comune più a sud dell’isola, che ospita uno dei mercati più affascinanti di Maiorca.
Mi perdo un po’ a studiare gli orari affissi alla fermata e, dopo qualche minuto, mi decido a chiedere alla signora seduta ad aspettare insieme al marito. A dire il vero, conosco già le risposte alle mie domande, ma mi va di fare conversazione. Si tratta di una coppia di inglesi sulla sessantina e, iniziando a parlare del più e del meno, delle mie origini e delle loro, del loro avventuroso road trip in Macedonia dove si erano recati per partecipare ad un matrimonio, delle due settimane tra la Costa Azzurra, la Corsica e la Provenza, e della loro visita a Roma e a Venezia, è venuto fuori che vengono in vacanza a Maiorca ormai da qualche anno. Amano l’isola e la sua tranquillità.
La signora mi dice che stavano andando a Cala d’Or e che avrebbero preso un bus diverso dal mio, visto che il mio programma era di andare a Santanyí. Le dico di aver letto del suo famoso e folkloristico mercato. Solo che oggi è lunedì e il mercato è il mercoledì e il venerdì.
Cambio di programma, quindi. Salto sul bus che prendono anche loro e decido che oggi visiterò Cala d’Or.
Scendo alla prima fermata, saluto i miei nuovi amici, li ringrazio per la dritta, dico loro sinceramente che è stato un piacere conoscerli e proseguo a piedi alla ricerca del mare. Non ci riesco subito. Il mio vagabondare mi conduce fino al porto turistico dove ad attirare la mia attenzione sono le case bianchissime con bellissimi bouganville che piovono sulle pareti e i nomi strambi delle barche: “Take it Easy” o “Holy Shit”.
Continuo a piedi fino alla fine del porto e mi trovo davanti ad un bivio: tornare indietro o affrontare una salita ripida. Vada per la salita ripida che, con mia sopresa, affronto con meno difficoltà di quello che mi aspettavo. Una volta in cima, mi dico che logicamente, per arrivare in spiaggia, avrei dovuto iniziare una discesa. Quindi, imbocco la prima stradina, costeggiata da case bianche.
Sento il mare. Lo sento. Riesco anche a vederlo, dal portone di alcune case. Arrivo fino in fondo alla strada, ma niente spiaggia. Un vicolo cieco.
Quindi, mi decido a tornare indietro per trovare un altro modo di arrivare. Non c'è il sole ma inizia comunque a fare piuttosto caldo. Incrocio una coppia e provo a chiedere. Ma, sfortunatamente per me, non parlo il polacco. Proseguo ancora e mi accorgo che sul lato della strada c'è un signore intento a caricare la sua automobile. Fortunatamente con lo spagnolo me la cavo molto meglio del polacco e grazie alla sua gentilezza, trovo l’accesso alla spiaggia che mi accorgo aver visto prima, durante la discesa, ma di non averlo imboccato perché pensavo fosse l’ingresso di una casa.
Una scala mi conduce al mare. Sulla spiaggia tanti bambini che giocano con la sabbia o a rincorrersi tra loro, cercando di sfuggire all’acqua che cerca di accarezzargli i piedi sul bagnasciuga.
Io, invece, voglio proprio farmi accarezzare dall’acqua. Sfilo in fretta le mie sneakers, immergo i piedi nella sabbia e mi avvicino al mare. Quanto mi era mancato.
L'acqua è un po’ fredda all’inizio, ma rimango dentro. E diventa piacevole. Poi mi siedo su uno scoglio con le gambe in acqua fino al ginocchio, tiro fuori il mio libro e inizio a leggere ascoltando il rumore delle onde e facendomi accarezzare dal mare. Un bel modo di passare la mattinata.
Non so esattamente quanto tempo trascorro in spiaggia con i piedi in acqua, leggendo, scrivendo e perdendomi nei miei pensieri. So solo che ad un certo punto sento il mio stomaco brontolare e, guardando nella sua direzione, mi accorgo che i miei piedi avevano assunto un colore violaceo a causa dell’acqua non proprio caldissima. Decido, quindi, di riguadagnare il mio hotel per mettere qualcosa sotto i denti e restituire ai miei piedi un colore umano. D’istinto penso di dirigermi verso la fermata del bus alla quale ero scesa la mattina ma poi mi torna in mente Lois, la simpatica signora inglese con la quale avevo chiacchierato qualche ora prima.
Mi aveva detto che se avessi costeggiato il porto turistico e risalito la collina, con una passeggiata di una quarantina di minuti, sarei arrivata dove ci eravamo conosciute.
Ed è quello che decido di fare. Camminando, sorrido di nuovo, leggendo alcuni nomi di barche, come era successo al mio arrivo a Cala D’Or, e mi imbatto anche in ammirevoli sculture, pesci, lucertole e perfino una sirena, in pietra e ferro, realizzate da uno scultore del luogo, Neznam. Tutta la strada ne è piena. Come una galleria d’arte a cielo aperto, con il mare accanto.
Davvero un’ottima scelta quella di non prendere il bus. Grazie Lois.
Il primo dei due bus che mi avrebbero condotta nella capitale è alle 8.50. Quindi, dopo aver messo qualcosa sotto i denti e aver deciso all’ultimo minuto di lasciare a casa l’ombrello (ebbene si, è prevista pioggia), eccomi già alla fermata che è, sorprendentemente, gremita di persone, contrariamente al giorno prima.
Per arrivare a Palma da Cala Egos con i mezzi ci vuole poco più di un’ora e il più caratteristico dei due bus è sicuramente il primo che, attraverso un susseguirsi di salite e discese, permette ai suoi passeggeri di scoprire graziosi villaggi nei dintorni. Per mia fortuna, e senza averlo minimamente programmato, il secondo bus che mi serve per arrivare a Palma è un Express e così, in circa una mezz’oretta sono già giunta a destinazione, con il naso all'insù, a guardare a destra e a manca cercando di orientarmi.
Niente pianta della città, né gps, voglio solo bighellonare in giro e perdermi un po’, respirando forte e scoprendo volta per volta ciò che questa città che non conosco può offrirmi. Decido così di dirigermi dalla parte opposta del mare e, incamminandomi tra stradine che si fanno sempre più strette, giungo a Plaza Mayor, una tipica piazza spagnola, circondata da abitazioni colorate alla base delle quali si trovano numerosi bar e ristoranti.
Non mi soffermo in piazza a lungo e continuo il mio girovagare tra vicoli stretti e palazzi antichi. Visito velocemente la basilica di Sant Miquel e, senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovo a Plaza de Espana che, rispetto alla più popolare Plaza Mayor, non ha l’aspetto tipico di una piazza spagnola ma piuttosto di nodo nevralgico della città.
Decido, quindi, di spostarmi verso il mare. Se mi ci trovo vicino, è come se ne subissi il fascino.
Camminando, però, la mia attenzione viene attirata da un piccolo negozio di tatuaggi e piercing e decido di entrare a dare un’occhiata. Da ragazzina avevo tanti piercing alle orecchie. Sei, se non ricordo male. Ma, adesso, da grande, ne erano rimasti solo due. Una ragazza si avvicina e chiede se può aiutarmi e, senza esitare, le dico “vorrei fare un piercing”. Mi spiega, quindi, che la ragazza che se ne occupa si trova nell’altro negozio, a qualche stradina di distanza. La ringrazio e mi avvio. Una volta lì, mentre l’accoglienza non è delle migliori (visto che la tipa alla cassa prova, senza riuscirci, a fare la cresta sul prezzo, aggiungendo 10 euro alla cifra che mi era stata comunicata nel negozio precedente), scopro che la ragazza dei piercing è, invece, davvero simpatica.
Ci mettiamo a chiacchierare, le racconto dei miei piercing ormai scomparsi e, con mia grande sorpresa, lei mi dice che uno è ancora recuperabile e che se voglio, anche se farà un po’ male, lo riporterà indietro, e sarà un regalo. Non ci pensò due volte e le dico di sì immediatamente. E dopo qualche altra chiacchiera e risata, e francamente un po’ di dolore, eccomi tutta contenta per le strade di Palma con i miei piercing tutti nuovi.
Continuo a camminare senza una direzione precisa, ma sempre verso il mare, godendomi il momento.
Passo davanti ad un edificio, sede della clinica dental Lerey, che sembra quasi ricamato. Mi ritrovo poi nella plaza de fort, dove si trova un albero secolare davvero incantevole. E poi, con mia grande sorpresa, imboccando una stradina stretta stretta, eccomi davanti alla Cattedrale di Palma. Non mi va di entrare. Preferisco godermi la vista del porto e del mare dal belvedere e respirare a pieni polmoni. Non è proprio una bella giornata di sole, ma si sta bene. E il venticello che c’è non è fastidioso, al contrario, sembra accompagnarmi nella mia passeggiata.
Sul belvedere, una coppia di ragazzi chiede ad un’elegante signora dai capelli di diverse sfumature di viola se può scattargli una foto. Posa classica per i due. Sorriso di scena. Sfondo incantevole. Nulla di più. La signora dai capelli viola chiede in cambio lo stesso favore e, sedendosi sul muretto del belvedere, alza le mani verso il cielo e fa un sorriso che sembra sorridere davvero.
Si salutano e, ognuno per la sua strada, controllano le foto nei rispettivi cellulari. La coppia si allontana, ma la signora dai capelli viola resta ancora nei paraggi e mi decido ad avvicinarmi con la scusa di farmi scattare una foto souvenir. La signora mi risponde con un sorriso genuino e spontaneo, che fa sorridere anche me, e inizia a scattarmi varie foto dicendo che la brezza che c’era in quel momento le piaceva e che dava alle foto del movimento. Poi quello stesso favore l’ha richiesto anche a me (evidentemente quelle scattate dal ragazzo della coppia di prima non erano proprio quello che stava cercando). E quando si è messa in posa, in realtà non ci si è messa per niente. Si è messa a giocare col vento. Mani verso il cielo, gambe sospese, capelli viola svolazzanti e sorriso leggero.
Ci ringraziamo a vicenda e ognuno riprende la sua strada ma, prima che ci separassimo per sempre, si avvicina di nuovo a me e mi dice “Hai fatto davvero delle belle foto. Sembra che io stia giocando con il vento”. Le rispondo solo con un sorriso sincero. Missione compiuta.
Voglio scendere e avvicinarmi all’acqua. Ma, quello che pensavo essere il percorso più breve per arrivare, si rivela un vicolo cieco che mi costringe a tornare indietro per raggiungere la mia destinazione. Poco male. Passo davanti al palazzo reale e riesco ad arrivare vicino all’acqua ma, niente spiaggia. Scorgo da lontano l’Hard Rock Cafe ed entro a dare un’occhiata. Da ragazzina collezionavo le magliette. Ne avevo un sacco.
La commessa, una ragazza simpaticissima dai ricci capelli biondi, che non riesce a decifrare il mio accento e con la quale inizio a chiacchierare, alla fine mi offre il suo aiuto per ricaricare il mio cellulare, ormai senza batteria. Mi siedo in terrazza e, mentre aspetto che il mio telefono si ricarichi un po’, né approfitto per ordinare un irish coffee al Baileys… davvero eccellente. Quando decido che mi sono riposata abbastanza e dopo aver chiacchierato con i due camerieri che si occupavano della mia zona, ecco che inizia a piovigginare. Sarebbe stato il caso di rimanere seduta sotto l’ombrellone, per dare il tempo alle nuvole di passare e andarsene altrove. Ma io non ne ho voglia. Quindi, saluto i ragazzi che sono stati così gentili con me e mi avvio, sotto una pioggerella sottile per niente sgradevole, verso la spiaggia.
Lungo il cammino mi imbatto in vari mulini, risalenti a non so quale anno, alcune sculture disseminate su un prato, una casa a testa in giù davanti al museo di arte contemporanea e anche un bel sorriso disegnato su una pietra rotonda.
E poi, eccolo, davanti a me. Il mare. La spiaggia.
Pioviggina ancora ma non la sento nemmeno la pioggia. Siamo io e il mare e respiro forte, a pieni polmoni.
Anche stavolta perdo la cognizione del tempo e non so quanto tempo rimango a guardare il mare e ad ascoltare il rumore delle sue onde, mi perdo completamente nei miei pensieri.
Ad un certo punto, però, inizio ad avere freddo e decido che è il caso di rientrare o, almeno, provare a cercare la fermata del primo dei due bus che mi avrebbero riportata a casa. E, per caso, ancora una volta oggi, eccola lì, a pochi passi dalla spiaggia e senza dover aspettare un’eternità (cosa che detesto fare) sono sul bus, al riparo dalla pioggia.
Una giornata senza imprevisti, dove mi sono lasciata trasportare dagli eventi e non ho programmato niente se non il fatto di andare a Palma. Dev’essere per forza per questo, per il Go with the flow mood con il quale l’ho vissuta, che una volta arrivata in hotel un sole spettacolare mi aspettava per riscaldarmi a bordo piscina mentre mettevo nero su bianco quello che state leggendo.
Davvero una bella giornata…
Non so perché anche in vacanza non riesco mai a dormire fino a tardi. Oggi, comunque, è più che altro un vantaggio: è il giorno del mercato a Santanyí.
Giorni fa, Loris, la simpatica signora inglese incontrata alla fermata del bus, mi aveva detto che al mattino di buonora è più facile camminare tra i vari stand e bancarelle e quindi, alle 8.50 in punto, eccomi alla fermata del bus, già gremita di gente, pronta a visitare questo mercato di cui tutti parlano. Non ci mettiamo tanto ad arrivare in bus. Qui, gli autisti guidano davvero come matti e, se non si è seduti, tra salite, ripide discese e tornanti, è davvero difficile rimanere in equilibrio.
Una volta arrivata a destinazione, la cosa che mi colpisce di più è il colore delle abitazioni. Niente case bianche ricoperte di Bougainville come a Cala Egos, ma case di mattoni chiari che riscaldano l’atmosfera. Mattoni fatti della famosa pietra di Santanyi. Per raggiunge il mercato basta seguire la scia di turisti francesi, inglesi, tedeschi e olandesi che affollano le stradine. Non si tratta di una semplice strada adibita a mercato. È quasi l’intero paesino ad esserlo, con tutte le varie stradine e vicoli che partono dalla chiesa di San Andrés, anch’essa costruita con la pietra di Santanyí.
Inizio a camminare senza una meta precisa, guardandomi intorno, respirando i profumi che popolano l’aria e apprezzando i sorrisi della gente che che mi circonda. Si respira allegria e buonumore. Non so quante volte ho fatto il giro del mercato, passando e ripassando per le stesse stradine, per gli stessi vicoli. Ma, ogni volta, c’era qualcosa di nuovo che attirava la mia attenzione. Colori, profumi, sorrisi. È vero che nel mercato di Santanyí si può davvero trovare di tutto: frutta, verdura, conserve, salumi, ma anche fiori, vestiti, accessori e articoli di decorazione, la maggior parte dei quali sono prodotti di artigianato locale.
L’atmosfera è davvero calda e anche il meteo oggi è clemente. Un timido sole sta diventando sempre più caldo e la mia felpa comincia a darmi fastidio. Mi fermo ad accarezzare un cagnolino bianco e nero in vena di coccole e attenzioni che scopro, in seguito, appartenere alla signora che vendeva vestiti qualche stand più avanti. Giungo in una stradina dove vengo accolta da un sottofondo musicale che attira la mia attenzione e che mi mette allegria. Non presto molta attenzione e mi godo solo il momento, immergendomi nella folla e ammirando le mille leccornie esposte nella vetrina della panetteria all’angolo della strada.
Continuo a girovagare, ma ad un certo punto, faccio dietro front e mi ritrovo ancora con questo sottofondo musicale che questa volta attira la mia attenzione, mi fa muovere la testa a ritmo e mi induce ad avvicinarmi. A suonare la chitarra e a cantare è un ragazzo sulla quarantina, con i capelli brizzolati e ricci, il cui nome scopro essere Nick Lore. Scoprirò in seguito, chiacchierando un po’ con lui, che si esibisce al mercato nei giorni di apertura e ogni sera al Dugans Pub di Santanyí.
La cosa più tenera che ho visto oggi comunque è e resterà il bimbo, che avrà avuto poco più di un anno, che ho filmato mentre filmavo Nick e che ballava insieme alla mamma ascoltando la sua musica.
E sorrido ancora. Me ne vado da Santanyí con un anellino raffigurante un fiore di loto, messo subito al dito, e con una sensazione di benessere. Ho passato proprio una bella mattina in giro per questa cittadina.
Non controllo nemmeno gli orari del bus, avviandomi alla fermata. Mi accorgo che c’è gente che aspetta. Non corro. Non ho fretta. Sono in vacanza. Se lo perdo, poco male, farò altro. Raggiungo la folla e il bus arriva. Dopo nemmeno un minuto. Questa cosa del Go with the flow funziona davvero.
Quando arrivo in hotel, il sole è alto in cielo e caldo. Non ho nessuna voglia di starmene a bordo piscina. Preferisco il mare. Infilo costume, short e occhiali da sole e scendo in spiaggia a Cala Egos.
Il sole è caldo e stendermi sulla sabbia ad ascoltare il rumore delle onde mi fa bene. Mi rasserena.
L’ultimo giorno sull’isola lo voglio passare al mare.
Decido così di recarmi a Cala Esmeralda, il cui nome originale è Caló des Corrales. Si tratta di una della cale nella quale la natura è ancora predominante e dove c’è un po’ di spazio tra le costruzioni e il mare.
Quando arrivo c’è già abbastanza gente in spiaggia: bambini che giocano a rincorrersi, altri che costruiscono castelli di sabbia con i papà, ragazze e ragazzi intenti a prendere il sole e altri in cerca del selfie perfetto da postare sui social.
Trovo un posticino non molto distante dall’acqua e stendo il mio asciugamano. Stamattina ho scoperto che il mio transfert per l’aeroporto è previsto domattina alle 2.25. Decido che non andrò a dormire stasera. Sarà notte bianca. Dormirò domani, una volta a casa. Quindi, il mio programma di oggi è relax.
Entro in acqua per sentire la temperatura. È ancora piuttosto fredda. Magari più tardi. Mi stendo e, cullata dal suono delle onde del mare, cado in un sonno leggero. Non so per quanto tempo rimango così. So solo che a svegliarmi di soprassalto sono le urla del venditore ambulante di cocco, cocomero e melone. Il signore, paffutello e con un cappello da marinaio, aveva allestito un vero e proprio show acchiappa turisti e in qualche minuto c’era la coda per accaparrarsi la sua frutta.
Guardando l’ora, mi accorgo che sono già le 13. Meglio tornare in hotel, darmi una rinfrescata, mettere qualcosa sotto i denti e magari visitare qualche altra cala prima di sera. Quando giungo alla fermata del bus, vedo che il mio è già passato da dieci minuti e che il prossimo sarà tra quarantina. Nessuna voglia di aspettare. In quaranta minuti sarei arrivata a destinazione a piedi. Ed ecco che mi ritrovo a passare di nuovo dal porto turistico di Cala d’Or, con i suoi pulcini, le sue statue in ferro e pietra e i nomi strambi delle barche.
Dopo pranzo, sono di nuovo in giro, decisa ad esplorare un po’ la zona, imboccando strade e vicoli che non avevo mai percorso nei giorni precedenti. Ed è così che, incamminandomi per strade costeggiate da resort e case bianche, mi ritrovo davanti ad un paesaggio incantevole. Una scogliera di pietra chiara, con grotte visibili e, sotto di lei, un mare di un colore chiarissimo, più vicino al verde che al cielo blu sopra di me, che scopro poco dopo essere Calo Des Llamp.
Dopo essermi seduta ad ammirare il paesaggio e a respirare forte, approfittando delle ultime ore in compagnia del mare, mi decido a muovermi. Il sole non è più alto in cielo ma c’è ancora abbastanza caldo almeno per stare con i piedi in acqua. Mi sposto quindi di nuovo a Cala Egos e passo le restanti ore del pomeriggio così, seduta su uno scoglio, con i piedi penzoloni nel mare, rilassandomi, leggendo, buttando giù qualche pensiero e riflettendo, su queste vacanze, e sulla mia vita.
Il mare aiuta a riflettere. Ti apre lo spirito e la mente. Non si può essere tristi vicino al mare o, se lo si è, sicuramente lo si è un po’ meno.
Dovremmo tutti avere una vita vista mare.
Mi è piaciuto rivedere il mare, poter sorridere di gusto e poter respirare, respirare forte, come solo davanti al mare si può fare. E viaggiare da sola, non avere orari e programmi e godermi il momento senza troppi pensieri, passando del tempo di qualità con me stessa, per me stessa.
Le formule all inclusive non fanno proprio per me. Ne avevo il sospetto ma, non avendolo mai fatto prima, con questa vacanza ne ho avuto propria la conferma. Alla fine, però, non è stato un male. Mi ha permesso di provare una cosa nuova. Se non esci dalla tua comfort zone, come fai a sapere cosa ti piace e cosa no?
Maiorca è un'isola non molto grande ma nemmeno piccolissima e, anche se i mezzi di trasporto sono molto efficienti, con sistemi di pagamento all'avanguardia (si può pagare direttamente senza contatto, avvicinando la propria carta di credito all'apposito apparecchio), il mio consiglio è quello di affittare un'auto per poter raggiungere con semplicità anche le zone più interne.