Sin da quando ero piccola, ho sempre avuto la grande fortuna di viaggiare molto, di visitare posti tanto diversi dalla mia città ed entrare in contatto con realtà completamente differenti da quella a cui sono sempre stata abituata.
Però quei paradisi terrestri come il Madagascar o Zanzibar, dietro all’incantevole mare cristallino nascondono tanta povertà e miseria, ed io li ho sempre osservati con l’occhio di una turista. Di certo durante le mie vacanze non sono mai mancate passeggiate nei piccoli mercatini locali, nelle scuole o direttamente nel cuore dei loro villaggi, ma oltre ad un po’ di amarezza e dispiacere, a fine giornata sono sempre rientrata in hotel, a gustarmi una deliziosa cenetta in una realtà estremamente comoda. Così, arrivata a diciotto anni, mi sono chiesta se davvero quello fosse il modo giusto, o perlomeno l’unico, per visitare un paese straniero.
Dopo diverse ricerche decisi di prenotare un viaggio completamente diverso dal solito, con data di partenza proprio a ridosso della chiusura scolastica. A giugno 2017, sono partita per un mese di volontariato in Indonesia.
Dire che sia stato facile sin da subito sarebbe una bugia, dato che i primi quattro giorni li reputo come i più difficili della mia vita. Però, nonostante le difficoltà iniziali, come la scarsa pulizia della camera che condividevo con altre volontarie, l’assenza di altri italiani ed il cibo della mensa, posso definire quest’esperienza come quella più ricca di emozioni contrastanti mai vissuta finora.
Il mio compito era quello di insegnare inglese ai bimbi al di sotto dei dieci anni e, seppur con alcune difficoltà di comunicazione, quei piccoli diavoletti dagli occhi a mandorla mi hanno fatto trascorrere momenti meravigliosi insieme a loro e, non esagerando, almeno una volta al giorno mi viene da chiedermi dove siano e cosa stia accadendo nelle loro vite.
Racchiusa tra una fitta vegetazione e l’aria misteriosa di quella magica terra, una parte del mio cuore rimarrà a lungo in Indonesia, più precisamente a Bali; non si tratta di nostalgia o di mancanza, ma di un legame con dei bimbi fino a quel momento a me sconosciuti, che supera l’età, la lontananza e la tanta differenza culturale.
L'atmosfera, i sorrisi, il buon umore, la gioia di vivere, la voglia di imparare l'inglese e la consapevolezza dell'importanza della lingua per il loro futuro, la passione nelle piccole cose, i profumi, l'odore della pioggia e l'umidità che ti si appiccica addosso, il rendersi conto di quanto siano frivole le nostre accortezze rispetto alla semplicità della loro vita.
Il viaggio è difficile, è difficile condividere la stanza con sei ragazze sconosciute, è difficile non trovare cibo per te commestibile, l'avere mal di pancia e tosse e svegliare tutte le altre volontarie per notti intere, il dover essere gentili anche quando si è di cattivo umore, l'essere soli a Nkkm di distanza da casa a soli diciotto anni.
Consiglio di intraprendere questo viaggio a tutti coloro che hanno già esperienze di viaggi, lontani o vicini che siano, che abbiano voglia di fare qualcosa di davvero diverso. hai sempre percorso una strada da nord verso sud, perché non intraprenderla da sud verso nord per vedere cosa ne salta fuori? o meglio, vai in un ristorante pazzesco, vivi un'esperienza culinaria alle stelle, torni a casa con la pancia piena. e se tu l'avessi trascorsa in cucina con lo chef per scoprire quale sia stato il processo che ha portato a quella splendida degustazione? vai a fare volontariato in Indonesia se hai voglia di vivere la vera essenza del tuo viaggio, dal profondo, dalle loro basi, dalle loro tradizioni, dal loro cuore.