La visita al complesso - Santuario e Monastero - della Certosa di Pavia, è iniziata dopo una lunga attesa fuori le mura. La prima impressione è quella dell'abbandono, erba alta e strutture cadenti coronano le mura di quella che è chiamata anche "Certosa delle Meraviglie" e prima di entrare ci si chiede perché abbia un così bel titolo.
Ad un'ora precisa, le 14.30, un monaco ci ha aperto le porte e finalmente ogni titolo ha trovato una spiegazione: davanti a noi, dopo un lungo viale ben curato, si alzava una struttura in marmo bianco splendente al sole, ci sembrava di entrare in una cartolina!
La visita del Santuario è stata accompagnata dallo stesso monaco che ci ha aperto le porte e che subito ci ha avvisati che non era possibile scattare foto: "sono severamente vietate". Con tono scherzoso ci ha fatto poi alzare lo sguardo sulla navata sinistra e ci ha indicato un monaco che spia chi va e chi viene, si trattava di un dipinto murale del 1505 di Iacopino De Mottis.
Ogni opera d'arte ha qualcosa da raccontare e il paziente monaco ha saputo ricostruire storia e fede rendendo appassionante la visita. Fare un elenco dei monumenti potrebbe diventare noioso. Ricordo il monumento funebre di Ludovico il Moro e Beatrice d'Este, che li tiene uniti solo per l'immagine scolpita: lui è sepolto in Francia, lei nella chiesa di S. Maria delle Grazie a Milano.
Il monaco che ci ha guidati nella vista al Santuario ci ha poi accompagnati a visitare alcune celle - ora disabitate - dove vige silenzio, lavoro e preghiera come nella regola dei monaci cistercensi.
Ogni cella è dotata di tre stanze e un piccolo porticato che immette in un giardino chiuso; i giardini aperti alle visite sono incolti proprio perché disabitati. Il tutto si sviluppa in pochi metri quadrati, le strutture sono pensate proprio perchè il monaco possa essere il più autosufficiente possibile al fine di osserare la regola.
Ogni cella si riconosce da una lettera dell'alfabeto. Accanto alla sigla, c'è un'apertura attraverso la quale il monaco riceveva, nei giorni feriali, il pasto giornaliero da assumere in solitudine. Nei giorni festivi invece i monaci si riunivano nel refettorio. Le celle sono in tutto 24, molto simili l'una all'altra, si presentano a schiera attorno al chiostro grande luogo in cui, in passato, venivano sepolti i monaci.
I marmi bianchi intagliati in maniera tale da sembrare ricami hanno catturato la mia attenzione. Anche la particolarità della posizione del monastero, immerso nel verde della Pianura Padana, ha un suo fascino. In mezzo a campi, erbe, alberi lontano dal chiasso cittadino non ci si aspetta un luogo d'arte, forse di preghiera sì.
Gli orari per la visita del monastero non mi sono piaciuti molto. Siamo arrivati, dopo un viaggio non lineare, giusti all'ora di chiusura: 11.30. Quindi abbiamo aspettato per tre ore la riapertura delle 14.30. Il luogo, fuori le mura, non ha molto da offrire e andrebbe curato a vantaggio dei pellegrini, dei turisti e dell'immagine della Certosa di Pavia. A causa degli orari ristretti non ho potuto visitare il Museo.
Prima di partire, controllare bene la strada che porta alla Certosa, soprattutto se si arriva con il pullman. E' bene controllare anche gli orari di visita della Certosa, tener conto che sono molto ristretti e possono variare in base alla stagione. Inutile portare tante macchine fotografiche, la Certosa si fotografa solo dall'esterno.